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Telosaes.it

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Marzo 2016, Anno VIII, n. 3

Sacha Polverini

Un Italiano alla corte di Re Gates

“Una fondazione promuove il cambiamento con la persuasione, opera attraverso partnership tenendo sempre in mente che la maggior parte delle iniziative devono essere profittevoli per essere sostenibili e avere un impatto a lungo termine.”

Telos: L’impegno della Fondazione Bill & Melinda Gates è molto noto, ma quello del programma Financial Services for the Poor (FSP), lo è sicuramente meno. Potrebbe raccontarci qual è la missione del programma FSP e il Suo ruolo?

Sacha Polverini:Il Programma FSP della Fondazione Gates promuove l’accesso dei segmenti più poveri della popolazione mondiale a servizi finanziari di base che siano convenienti. Secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale (2014), 2 miliardi di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno e non hanno accesso a servizi finanziari che noi diamo per scontati, come depositi, prestiti ed assicurazioni. Un numero crescente di elementi indica che l’accesso agli strumenti finanziari appropriati nei momenti di difficoltà può determinare se una famiglia economicamente disagiata può migliorare la propria condizione o perlomeno assorbire il momento di crisi senza essere spinta ulteriormente in una condizione di povertà. L’uso esclusivo del contante da parte di poveri perpetua la loro marginalizzazione dal sistema finanziario, rendendo proibitive, da un punto di vista dei costi, le loro transazioni con banche, governi e altre istituzioni. I poveri tendono a effettuare transazioni per importi modesti, e quindi le istituzioni finanziarie non traggono profitto nel fornire loro dei servizi alle stesse condizioni offerte ai clienti più agiati: in grandi palazzi con servizi di sicurezza, cassieri e carte su carte. Eppure l’emergente economia digitale, in gran parte gestita attraverso gli smartphone ha il potenziale per abbattere i costi di transazione fino a quasi zero. Dal momento che nei paesi in via di sviluppo sempre di più sono i proprietari di telefoni cellulari e che la copertura del segnale è in continuo aumento, sarà sempre più facile per banche ed altri fornitori offrire servizi finanziari ai poveri traendone il giusto profitto. La novità è che saranno anche in grado di creare nuovi prodotti per questo mercato: servizi finanziari su misura per i bisogni particolari di una clientela a reddito limitato. Per vincere la sfida dell’esclusione finanziaria occorre che si verifichino tre condizioni: 1) politiche e regolamenti smart, che consentano lo sviluppo di business innovativi senza dimenticare la protezione degli utenti; 2) infrastrutture per i pagamenti modulabili, a basso costo, interoperabili e anti-frode che raggiungano i poveri e anche le comunità rurali più remote; 3) far sì che le persone povere che usano questi dispositivi abbiano accesso a strumenti finanziari digitali (DFS) che forniscano loro dei percorsi per uscire dalla povertà. Io sono responsabile del primo di questi tre elementi: politiche e regolamentazioni globali. Il mio ruolo è coinvolgere, informare e lavorare con esperti di politiche e decisori pubblici per sviluppare un ambiente regolamentare che consenta ai fornitori di servizi finanziari digitali di innovare e competere alle stesse condizioni. Dal momento che i DFS sono considerati dei servizi finanziari ma sono sempre più offerti da istituzioni non finanziarie, come gli operatori delle telecomunicazioni o dell’e-commerce, i regolatori trovano difficoltà nell’applicare le tradizionali regole bancarie e finanziarie a prodotti e servizi che appaiono diversi e sono offerti attraverso canali non convenzionali.

Come misura il successo nel Suo lavoro?

È una domanda da 1 milione di dollari, soprattutto per le attività nel campo delle politiche e di advocacy. In molti casi è difficile individuare il reale nesso di causalità tra ciò che facciamo ed i risultati ottenuti. Sappiamo con certezza di avere contribuito al risultato finale, ma essere in grado di attribuire i meriti di un determinato risultato è molto più difficile. Senza dubbio è più semplice valutare il numero di persone vaccinate o l’impatto di nuovi farmaci, rispetto ai fattori chiave dietro al cambiamento di una certa politica. Nel nostro lavoro alla Fondazione cerchiamo di essere il più rigorosi possibile anche quando ci impegniamo in attività più intangibili come l’advocacy. Tutti i programmi e le iniziative redigono un quadro comprensivo dei risultati, con esiti chiari e definiti, e degli indicatori che consentono alla Fondazione di calibrare costantemente le proprie attività e valutare sia i risultati intermedi che quelli finali. Non è un compito facile ma è essenziale per potere misurare, imparare, valutare e sviluppare il senso della rendicontazione e della responsabilità.

Fra le Sue molteplici attività, lei presiede, in seno all’ITU, una taskforce sui servizi finanziari digitali Trovare all’interno di un organismo come l’ITU un gruppo di esperti che si occupa di inclusione finanziaria appare sorprendente. Ce ne spiega origine e obiettivi?

L’ITU, l’agenzia dell’ONU che si occupa delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT) è conosciuta soprattutto per le sue attività di standardizzazione ed allocazione dello spettro radio. L’ONU tuttavia guarda sempre più a come le ICT possono essere applicate per aiutare i paesi in via di sviluppo a raggiungere i propri obiettivi nel campo dell’agricoltura, della formazione, dell’empowerment femminile e dell’inclusione finanziaria. Come detto prima, la regolamentazione gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di servizi finanziari digitali sicuri e competitivi per i poveri. Senza una regolamentazione appropriata e funzionale è improbabile che il mercato si sviluppi in maniera equilibrata. Oggi, i decisori devono affrontare la sfida di un ambiente iper-tecnologico, che cambia rapidamente, e una maggiore collaborazione tra le varie Autorità è fondamentale per lo sviluppo del corretto quadro normativo. Il Focus Group dell’ITU sui DFS ha quindi un triplice obiettivo: a) aumentare la collaborazione ed il dialogo tra i regolatori dei servizi finanziari e quelli delle telecomunicazioni, chiarire i rispettivi ruoli e responsabilità nell’ambito dei DFS per minimizzare il rischio di arbitraggi regolamentari o di invalidità delle norme; b) affrontare alcune delle questioni regolatorie e politiche-chiave che oggi scoraggiano lo sviluppo di un ecosistema DFS interoperabile, aperto e sicuro con particolare (sebbene non esclusiva) attenzione alle aree nelle quali i regolatori dei servizi finanziari e delle Telecomunicazioni tendono a sovrapporsi; c) fornire ai decisori pubblici dei paesi in via di sviluppo strumenti aggiuntivi per portare avanti l’agenda dell’inclusione finanziaria e mettere su di una corsia preferenziale le riforme del settore.

I primi vent’anni della Sua carriera sono stati dedicati all’attività di government affairs per importanti realtà aziendali oggi invece si occupa di advocacy per una Fondazione benefica. Realtà simili o diverse?

Quando guardiamo alle relazioni istituzionali incontriamo un’ampia gamma di attività che investono il settore pubblico e privato, compreso il non-profit. In molti casi gli obiettivi principali sono fondamentalmente gli stessi: informare ed educare i decisori, aumentare la consapevolezza su un argomento, dare voce alla società civile, modellare il dibattito, promuovere delle riforme e molto altro. Ciò detto, ci sono differenze rilevanti negli obbiettivi perseguiti, nell’approccio e negli strumenti utilizzati dalle aziende e dalle associazioni caritatevoli. Quanto al settore privato, la maggior parte delle attività di government affairs sono in ultima istanza finalizzate a proteggere e/o incrementare il valore per gli azionisti, consentendo alle aziende di mantenere o migliorare la propria posizione sul mercato. Obiettivi più che legittimi. Ma l’attenzione tende ad essere focalizzata sul breve termine, il passo più spedito, il tono è assertivo e l’approccio è diretto. Una fondazione invece guarda soprattutto al lungo termine, al quadro d’insieme. Gli obiettivi sono le grandi cause umanitarie o ambientaliste. Una fondazione promuove il cambiamento con la persuasione, opera attraverso partnership tenendo sempre in mente che la maggior parte delle iniziative devono essere profittevoli per essere sostenibili e avere un impatto a lungo termine, soprattutto per il momento in cui i fondi si saranno esauriti.

Marco Sonsini

Editoriale

Ormai lavoro a tempo pieno per la mia fondazione ed è quello che farò per il resto della mia vita”. Con tono categorico Bill Gates ha escluso un suo ritorno al timone della Microsoft, ormai si dedica con la stessa incisività e determinazione a ben più nobili sfide. L’efficienza, come ci conferma il nostro intervistato Sacha Polverini, un italiano alla corte di Gates, è il punto forte della Fondazione Bill e Melinda Gates, la più grande associazione caritatevole al mondo gestita con la forma mentis ingegneristica del suo fondatore. La maggior parte dei suoi 1.200 dipendenti, come ci descrive Polverini, si dedica ai calcoli, misurando in modo meticoloso il preciso impatto di ogni dollaro speso e imponendo i propri standard a tutti i progetti che finanzia in giro per il mondo. Pensiamo di conoscere l’attività della Fondazione, e invece ne scopriamo aspetti davvero interessanti dalle parole di Polverini. Ma Gates non è l’unico filantropo. L’ultimo della fila è Mark Zuckerberg che ha deciso di donare il 99% delle sue azioni Facebook (circa 45 miliardi di dollari) in beneficenza. Ma cosa vuol dire filantropia negli USA? Quali sono le differenze tra il concetto della morale dei patrimoni che caratterizza i grandi filantropi d’oltreoceano rispetto a ciò che accade in Europa. La parola chiave sembra essere give back, la restituzione alla società di una parte delle fortune che il singolo ha potuto accumulare grazie al sostegno della società stessa. Così i Gates: “la nostra responsabilità di restituire la maggior parte della nostra ricchezza”; Rockefeller: “quelli che hanno beneficiato di più dal nostro sistema economico hanno una particolare responsabilità, quella di restituire alla nostra società”; Turner: “lavorare ogni giorno duramente per restituire”. Questa è la motivazione: saldare un debito contratto con la società. Radicale differenza rispetto a quanto accade in Europa dove, pur con sensibili differenze tra Paesi, questo concetto non esiste. Paradigmatica è la Giving Pledge, ideata da Bill Gates e Warren Buffett nel 2010: un invito alle famiglie più ricche d’America a donare più della metà del proprio patrimonio. Il risultato? In un anno negli USA hanno aderito alla promessa 69 multimiliardari, molti dei quali si sono impegnati a donare ben più della metà, fino al 100% del proprio patrimonio. Eppure non uno straniero ha aderito alla Giving Pledge. Due noti multimiliardari francesi, Arnaud Lagardère e Liliane Bettencourt si sono rifiutati di sottoscrivere. Né migliore fortuna hanno avuto i tentativi compiuti incontrando personalmente i più ricchi imprenditori di India e Cina. Infine, Carlos Slim, l’imprenditore messicano che negli ultimi due anni ha sottratto a Bill Gates il titolo di uomo più ricco del mondo, all’invito ad aderire ha risposto che il compito degli imprenditori per il bene della società non è fare il Babbo Natale ma creare posti di lavoro attraverso le imprese. Chiaro?

Sacha Polverini

Sacha Polverini si è unito al team Financial Services for the Poor - Servizi finanziari per i Poveri (FSP) - della Fondazione Bill & Melinda Gates nel dicembre 2012, come Senior Program Officer – Global Policy and Regulation. In questo ruolo, Sacha rappresenta il FSP e la Fondazione Gates per gli aspetti legati alle politiche e regolamentazioni presso una grande varietà di stakeholder, tra cui governi, organismi internazionali per la definizione di standard, organizzazioni globali, enti beneficiari di finanziamenti e donatori. Il team di Financial Services for the Poor lavora con un gran numero di partner pubblici e privati per promuovere lo sviluppo di servizi finanziari digitali- ad esempio il trasferimento di denaro con dispositivi mobili come gli smartphone – in grado di fornire a centinaia di milioni di persone gli strumenti finanziari necessari per ridurre i rischi e cogliere le opportunità per uscire dalla povertà. Da giugno 2014, Sacha presiede il Focus Group sui Servizi Finanziari Digitali presso l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU). Prima di far parte della Fondazione, Sacha viveva a Bruxelles, dove ha lavorato per 20 anni rappresentando gli interessi del settore dei servizi finanziari sia presso l’UE che presso le Istituzioni nazionali. Sacha ha lavorato, tra l’altro, in Barclays Bank PLC come Group Director for EU public Policy, e alla Genworth Financial Mortgage Insurance (in precedenza GE Mortgage Insurance) come Managing Director of Government and Regulatory Affairs Europe. Laureato alla LUISS Guido Carli di Roma, Sacha ha conseguito un Master in Studi Politici Europei alla Université Libre de Bruxelles. Ha inoltre frequentato un programma di management post-lauream, presso la Solvay Business School, Ècole de Commerce de Solvay di Bruxelles. Sacha è un artista appassionato, la pittura astratta è il suo hobby e forse anche qualcosa in più. Ha infatti esposto le sue opere in Belgio, Tanzania e Stati Uniti.

Marco Sonsini