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Settembre 2019, Anno XI, n. 9

Luigi De Magistris

Il Sindaco di Strada

"Credo che il Presidente del Consiglio dovrebbe essere un po’ come il Sindaco d’Italia e fare quello che i politici nazionali non riescono a fare da molti anni: ripartire dai territori, dalle città."

Telos: Ogni volta che si parla dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio, viene utilizzata l’espressione, suggestiva, di Sindaco d’Italia. Ma allora è vero che un Sindaco ha, nell’amministrare la propria città, più potere di quanto non ne abbia oggi il Presidente del Consiglio?

Luigi De Magistris: È una delle poche riforme legislative su temi ordinamentali veramente riuscita negli ultimi decenni. L’elezione diretta del Sindaco fu una bella legge degli inizi degli anni ’90. Essere eletti direttamente dal popolo significa innanzitutto avere un rapporto diretto con la gente che ti ha votato, e quindi uscire un po’ fuori dalle logiche asfittiche dei rapporti politici tradizionali. Ognuno può pensarla come vuole, ma io credo che per chi fa politica fare il Sindaco sia la missione più bella. Sono particolarmente fortunato perché faccio il Sindaco della città che amo, secondo me una delle città più belle del mondo: anche se è tra le più difficili, non la cambierei per nessun’altra. Credo che il Presidente del Consiglio dovrebbe essere un po’ come il Sindaco d’Italia, e fare quello che i politici nazionali non riescono a fare da molti anni: ripartire dai territori, dalle città. Se avessero maggiore considerazione per le città, e quindi di riflesso per gli abitanti del nostro Paese – percependone i loro bisogni, i loro diritti, i loro sogni e le loro sofferenze – l’Italia andrebbe molto meglio. Bisogna chiedersi come mai non lo fanno. Non lo fanno perché il Sindaco ha una connotazione molto più democratica, è più controllato dalla gente, e sappiamo perfettamente che il sistema politico non ama molto una certa forma di controllo popolare.

La crisi del sistema dei partiti è stata molto probabilmente l’origine del diffuso sentimento anti-politico. Eppure questo distacco tra cittadini e la politica è molto meno forte quando si parla del Sindaco. Riscontra ancora passione politica tra i suoi cittadini?

Assolutamente sì. Se non avessi avuto la gente di Napoli non avrei retto otto anni. Io sono un Sindaco ancor più anomalo rispetto ad altri perché non appartengo a nessun partito, né vecchio né nuovo, perché anche il Movimento 5 Stelle è ormai un partito, un movimento strutturato. La nostra è un’esperienza completamente civica, e autonoma. La nostra forza è la gente, qui il potere forte è diventata la città con il suo popolo. Abbiamo un po’ sovvertito il concetto di potere forte. Mi sono trovato accanto la gente nei momenti belli e, cosa che mi ha fatto ancor più piacere, nei momenti difficili. Ho cercato una connessione umana, sentimentale oltre che politica, istituzionale e amministrativa con la mia città, con la gente della mia città – i concittadini – e devo dire che a distanza di anni questo rapporto leale, costruttivo anche nella critica, permane e si è consolidato. È un elemento che fa di Napoli un laboratorio politico, dove i partiti forti non ci sono più. In città non governano ormai da otto anni, eppure Napoli resta una città governata politicamente, nel senso che non si sente l’assenza dei partiti ma si percepisce la presenza della politica. Anche senza i partiti che nella storia di questa città o, ancora oggi nel Paese, sono più forti.

Nel 2014 ha vissuto un’esperienza decisiva: è stato costretto a lasciare Palazzo San Giacomo dopo la sospensione per l’applicazione della legge Severino, sospensione poi revocata dal TAR. In quei giorni lei ha rivitalizzato il suo blog e ha creato l’hashtag #sindacodistrada tenendo la contabilità dei giorni di sospensione. Dopo il suo reintegro, ha aggiunto “d’ora in avanti sarà sempre così, sarò molto di più in strada che in Municipio”. Cosa ricorda di quei giorni? E ha mantenuto la sua promessa di fare il Sindaco di strada?

Quella è un’ulteriore riprova delle tante ingiustizie che ho vissuto sulla mia pelle. Anche da Sindaco volevano continuare a farmi pagare – in modo ingiusto – il lavoro che avevo svolto da magistrato. E menomale che grazie all’appoggio della gente che diceva di non mollare ebbi l’intuizione di dire: “Non mollo, non me ne vado, non mi dimetto e faccio il Sindaco di strada”, perché sapevo perfettamente di essere un perseguitato per ragioni di giustizia, come ormai si dovrebbe dire dopo oltre 100 procedimenti. Non ho mollato e poi sono stato completamente assolto. Pensate un po’… se mi fossi dimesso la città di Napoli avrebbe perso il Sindaco che aveva democraticamente eletto, tra l’altro per fatti non commessi da Sindaco. La gente mi ha votato proprio perché avevo agito in un certo modo da magistrato, e in questi giorni sta venendo alla luce il sistema criminale messo in piedi da pezzi di Istituzioni, politica e criminalità organizzata che aveva tentato di fermarmi all’epoca. Non fu facile, perché nei 30 giorni di sospensione tutti i partiti, tutti gli schieramenti politici, avevano chiesto che mi facessi da parte; anche alcuni miei amici, sostenitori, opinion leader, pur completamente certi della mia innocenza, mi dicevano “è meglio però che tu ti dimetta, così da libero cittadino potrai dimostrare la tua innocenza.” Fu un momento veramente complicato. Mi venne un’intuizione quando scesi per strada e un giornalista mi chiese: “E lei che fa, Sindaco?” Risposi: “Faccio il Sindaco di strada”. Mi venne spontaneo. In quei giorni ho consolidato il mio legame con la città, un legame che ho mantenuto perché ho non ho smesso di andare per strada. Certo, non come in quel periodo, durante il quale arrivai a percorrere 20-25 km al giorno a piedi. Coniugo sempre l’Ufficio con la strada, l’Istituzione con il territorio, il Palazzo con il vicolo. Questo è un elemento che sicuramente mi porterò fino alla fine, che mi servirà anche un domani se dovessi fare altro, perché quei giorni sono stati davvero complicati. Governare una città senza poterlo fare formalmente, ma continuando ad essere il Sindaco riconosciuto, è stata veramente un’impresa, che mi ha rafforzato politicamente. La gente ha capito l’ingiustizia che subivo, ha capito che io ero il Sindaco di Napoli e ho guadagnato il rispetto anche degli avversari politici che non accettavano di buon grado che io venissi fatto fuori con un’operazione di potere di Palazzo, come a dire: “Noi non condividiamo le tue idee ma devi essere sconfitto nelle urne, non in questo modo così artificioso, strumentale, utilizzando in modo abusivo la legalità formale”. Un’altra tecnica che il nostro Paese usa sempre di più, con il risultato che la distanza tra legalità e giustizia si allarga in modo insopportabile.

Essere eletto per due volte Sindaco di Napoli – una città unica al mondo – è un enorme privilegio che però porta con sé un carico di responsabilità altrettanto grande. Ci racconta qualche esempio di questa unicità? E quali sono le sue idee per il futuro?

Credo che la cosa più potente sia il rapporto con le parti più fragili della città. Fragili nel senso del territorio e delle persone, perché c’è una connessione molto stretta tra il territorio e la persona, tra lo spazio urbano e i suoi abitanti. Quello che abbiamo costruito in alcune periferie lo porterò sempre nel cuore. Ad esempio, il rapporto con il “Comitato Vele di Scampia”: decine e decine di incontri, un lavoro fatto insieme, un modello di democrazia partecipata unica al mondo. Il rapporto con i bambini, con i poveri: riesco ad avere un rapporto di grande empatia con i bambini – con i quali non ci può essere nessun interesse di tipo politico, perché i bambini voteranno tra 15 o 10 anni. Ho ricevuto tantissimo in maniera del tutto anonima: la mia forza sono gli sguardi delle persone, gli incontri, gli abbracci, le lettere, che valgono molto più di una riunione politica. Incrociarsi per strada con le persone che ti riconoscono e ti chiamano come se fossi Sindaco di un paese di 200 abitanti, questa è una cosa veramente particolare, perché Napoli è una Capitale, una città con tantissima gente. Eppure, quando giri tra i vicoli, la gente ti fa entrare, ti offre il vino, si mette a parlare come ad una persona di famiglia. Come si dice dalle nostre parti, e come cantano certe volte i ragazzi: “Uno di noi”. Il futuro? Io vorrei continuare l’esperienza fino alla fine del mio mandato: lo dico perché non è scontato, perché tra un anno si vota alle elezioni regionali. Ma credo che mi limiterò a compartecipare alla competizione regionale cercando di far vincere nella Regione Campania una figura molto diversa da quella dell’attuale Presidente, e provare a stabilire una connessione maggiore con quello che si è fatto a Napoli, il capoluogo della Regione, in questi anni. Poi, la cosa che più mi affascina, politicamente parlando, sarebbe costruire un progetto nazionale. Perché dopo quindici anni di magistratura, due anni al Parlamento Europeo – alla Presidenza di una Commissione molto delicata (la Commissione per il controllo dei bilanci) – e 10 anni da Sindaco, durante i quali ho visto un Paese ridotto in macerie per aspetti morali ma anche politico/istituzionali, sarei molto motivato a provare a costruire insieme ad altri un progetto nazionale. Un nuovo soggetto politico, un movimento, una coalizione civica, riprendendo anche quello che si è fatto a Napoli e in altre realtà. Vorrei provare ad unire il Paese nella valorizzazione delle sue differenze creando un nuovo entusiasmo di coesione. L’Italia ha avuto nella sua storia momenti in cui ha creduto nell’Italia. Oggi è un Paese un po’ ricurvo, un po’ diviso, avvelenato, intossicato; io invece credo che si debba provare a costruire un clima che inietti entusiasmo, che infonda voglia di fare. Rivoluzione e rottura del sistema, quindi novità ma anche capacità di governo. Governo questa città praticamente senza soldi e in maniera autonoma, e l’ho fatta diventare, ad esempio, la città italiana che è cresciuta di più in termini di ingressi di turisti, la terza per numero di start-up e così via. Bisogna far comprendere, e avere la forza di dire, che il Sud non è una zavorra, ma anzi può contribuire al rilancio del Paese. Insieme ad altri, questo è il progetto che vorrei realizzare. In politica non programmo: un tempo programmavo la mia vita, adesso non lo faccio più. Quindi, tra un anno, potrei anche trovarmi con un gozzo a navigare per il mar Mediterraneo. Non lo so, nella vita mai dire mai!

Marco Sonsini

Editoriale

Milano chiama, Napoli risponde. A fattori invertiti, la pubblicazione dell’intervista al Sindaco di Napoli De Magistris su PRIMOPIANOSCALAc dopo quella al Sindaco di Milano Sala, ricorda l’anomalo gemellaggio che i due Sindaci hanno lanciato il 27 febbraio scorso: "Napoli e Milano, unite nelle diversità – aveva dichiarato Sala - Oggi sono a Napoli a confronto con le istituzioni cittadine, mentre il Sindaco De Magistris incontrerà Milano il prossimo 12 marzo. È un modo per conoscersi, capirsi e scoprire nuovi modi per confrontarsi su quanto le città contribuiscono a costruire il nostro Paese". Per De Magistris c'è un elemento che unisce tutti i Governi, al di là del colore politico, ed è un atteggiamento di soffocamento nei confronti delle città. Nella sua intervista al nostro foglio mensile ribadisce che se i politici nazionali ‘avessero maggiore considerazione per le città, e quindi di riflesso per gli abitanti del nostro Paese – percependone i loro bisogni, i loro diritti, i loro sogni e le loro sofferenze – l’Italia andrebbe molto meglio’. Un ruolo fondamentale che i due Sindaci, un po’ atipici - nessuno dei due è un politico di professione - attribuiscono alle amministrazioni cittadine. Chissà se mai li vedremo insieme, in un progetto politico comune, nel futuro?
Il leit motiv di tutte le interviste fatte ai sindaci, siano essi italiani o stranieri, ritorna anche qui: siamo noi a doverci occupare dei cittadini, e loro si rivolgono a noi per rendere loro conto della nostra azione di governo. Rendere conto, essere responsabili, rispondere alle istanze, parole antiche che ora si traducono in un temine inglisc: accountability. Altro elemento che caratterizza l’intervento di De Magistris è l’immanenza della gente, della strada, del territorio nel suo agire quotidiano. Quella gente che gli è stata vicina nei momenti più bui del suo mandato come quello della sospensione, il 1° ottobre 2014, dal prefetto di Napoli, dalla carica di Sindaco per 18 mesi, a seguito della condanna in primo grado per abuso d'ufficio in applicazione degli articoli 10 ed 11 della cosiddetta Legge Severino. Viene reintegrato nella carica il 30 ottobre 2014 a seguito della pronuncia del TAR Campania che sospende il provvedimento prefettizio. I trenta giorni da #sindacodistrada.
Una luce di speranza informa tutta l’intervista, fiducia in una città che seppur piena di mali cronici, quasi endemici, riesce a dare dei segnali di vitalità insperati, e lo stesso per De Magistris può accadere all’Italia: ‘un Paese un po’ ricurvo, un po’ diviso, avvelenato, intossicato; io invece credo che si debba provare a costruire un clima che inietti entusiasmo, che infonda voglia di fare.’
Per la copertina dell’intervista al Sindaco di Napoli non potevamo che scegliere gli spaghetti, elemento fondamentale della cucina locale, pizza a parte. Come d’altronde ci ricorda la frase di Troisi che ne è esilarantissima chiosa ‘Nuje a Napule sulo pizza e spaghetti mangiammo. È vietato proprio mangià ‘ate cose a Napoli, se po’ mangià solo ‘a pizza e ‘e spaghetti. Infatti tenimmo ‘o fegato nuje che è rovinati’. Una frase che, nel farli propri, sbeffeggia i luoghi comuni su Napoli. Godetevi l’esibizione di questo rimpianto artista qui.

Mariella Palazzolo

Luigi De Magistris

Luigi De Magistris è Sindaco di Napoli dal giugno del 2011 ed è stato rieletto nel 2016 con oltre il 66% dei voti. Dal 1º gennaio 2015 ricopre la carica di Sindaco della Città Metropolitana di Napoli. De Magistris è in politica dal 2009, quando si candida alle Elezioni Europee nelle liste dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Fu eletto con oltre 400mila preferenze, secondo per numero di voti dopo Silvio Berlusconi. Qui viene nominato Presidente della Commissione che si occupa del controllo del bilancio comunitario. Nella sua carriera di magistrato ha ricoperto il ruolo di Pubblico Ministero presso le Procure di Napoli e di Catanzaro, da dove ha condotto inchieste principalmente incentrate sui reati dei cosiddetti colletti bianchi e sui rapporti tra politica e criminalità organizzata. Tra queste, anche alcune di notevole impatto sull’opinione pubblica, come le indagini denominate Toghe Lucane, Poseidon e Why Not, che oltre a donargli una certa notorietà, gli hanno anche attirato l’aperta ostilità di parte del sistema politico del tempo.
Ha ricevuto, tra gli altri, il Premio Valarioti-Impastato 2017 con questa motivazione: per ‘aver combattuto criminalità e corruzione da più d vent'anni da magistrato e politico, per aver rotto il rapporto tra mafia e politica nella gestione politico-amministrativa della città di Napoli e per aver contribuito al riscatto morale di Napoli ed allontanato la camorra rompendo il sistema dei rifiuti e delle ecomafie’.
Nato a Napoli nel 1967, a 22 anni si laurea in Giurisprudenza presso l’Università Federico II. A 26 anni vince il concorso per entrare in Magistratura. È sposato e ha due figli.

Marco Sonsini