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Luglio 2021, Anno XIII, n. 7

Marco Minniti

Politica e Geopolitica. Passioni di una Vita

"La storia del mondo è a volte più complessa e alle volte è più semplice, ma basterebbe soltanto seguirla. Però non si possono sovrapporre delle visioni di carattere ideologico. Noi tutti leggiamo la realtà, secondo quello che vorremmo che fosse e non secondo quello che è. Si chiama mettere gli occhiali dell’ideologia, occhiali che però sono deformanti."

Telos: Quest'anno, dopo un’esperienza più che ventennale nelle istituzioni, lei ha lasciato il Parlamento per assumere la Presidenza della neo costituita fondazione Med-Or di Leonardo, ci può raccontare qualcosa di più su questa nuova sfida e anche sul significato di questa Fondazione nelle strategie di Leonardo?

Marco Minniti: Partendo dal presupposto che ci sono momenti in cui è bene cambiare vita, sinceramente, l'ho fatto senza nessuna recriminazione e anche con un certo entusiasmo. La cosa si è incontrata con la volontà del gruppo dirigente di Leonardo di misurarsi con un mondo in profonda evoluzione e in profondo cambiamento. Da qui nasce l'idea di una Fondazione che ha il compito di occuparsi di un’area specifica del pianeta, il Mediterraneo allargato, i Paesi arabi e l'Oriente fino all’India, naturalmente sapendo che questo ragionamento ha un focus non cancellabile che riguarda l'Africa.
Si tratta di una delle aree che ha subìto in questi anni i più incredibili e profondi cambiamenti. Naturalmente, un gruppo come Leonardo, che ha in quest’area degli interlocutori storici e anche di prospettiva, non poteva non voler essere protagonista. La Fondazione ha un molteplice scopo.
Da un lato quello di muoversi perché ci sia un approfondimento di analisi geopolitica che sarà messa al servizio del Paese: è evidente che la Fondazione Med-Or è un’espressione di un grande gruppo come Leonardo, tuttavia l'ambizione è di mettersi al servizio del Sistema Paese. Ci sono esperienze di questo tipo nel mondo, dagli Stati Uniti alla Francia passando per il Regno Unito. Da qui anche l'esigenza di relazionarsi con i vari segmenti che nel campo della geopolitica, delle relazioni internazionali e della costruzione di partnership internazionali si pongono come interlocutori naturali. Lo slogan della Fondazione è emblematico “la distanza che unisce”. Il fatto che ci sia una distanza non significa che quella distanza sia una separazione. Anzi, più c'è rispetto per la configurazione autonoma, per le tradizioni, appunto la distanza, più ci sono le condizioni per poter unire. Infatti, l'unità non significa cancellare le differenze, anzi, le differenze possono essere un riferimento. Se questo vale in generale per il pianeta, vale ancor di più per quanto riguarda l'area di specifico interesse della Fondazione.
Il secondo aspetto su cui si cimenterà è quello di costruire delle relazioni che vadano oltre l’aspetto più propriamente commerciale dell'attività del gruppo Leonardo. Il gruppo è un grande player mondiale nel campo della sicurezza, della difesa e della cybersecurity ma vuole andare oltre: attraverso la Fondazione vuole realizzare due grandi progetti. Il primo è legato all'alta formazione. Med-Or intende creare delle relazioni con Paesi nell’area di suo interesse per fornire a ragazze e ragazzi, d'intesa con i sistemi di governo e con i sistemi universitari locali, la possibilità di fare studi universitari in Italia. Quindi noi lavoreremo per creare una rete, nella quale Med-Or avrà la funzione di playmaker, tra le università italiane e quelle straniere, a partire dal Mediterraneo. I ragazzi e le ragazze che verranno a studiare in Italia avranno un solo vincolo, quello di tornare nel Paese di provenienza. Questo è il modo migliore per rendere produttivo questo tipo di relazioni. L'obiettivo non è quello di drenare cervelli, ma è quello di costruire una classe dirigente locale. Questo sarà anche un investimento sul futuro del nostro Paese: avere in quei Paesi classi dirigenti autorevoli che abbiano relazioni anche sentimentali con l'Italia creerà un legame indissolubile.
Il terzo aspetto sarà quello di misurarsi con la sicurezza sanitaria. Anche questo tema vale per tutto il pianeta, ma vale in maniera del tutto particolare per le aree di interesse della Fondazione: qui Med-Or dovrà affrontare due grandi declinazioni. La prima è quella della cura. La cura rimane un problema aperto anche per molti paesi avanzati, lo è per l'Italia e per l'Europa, figuriamoci per l'area Mediterranea e il Nord Africa. La seconda è la prevenzione, che va affrontata attraverso tre grandi questioni. Due di esse sono tipicamente legate all'attività che può svolgere anche il gruppo Leonardo. La prima è l’Health Intelligence, un’area in cui Leonardo ha il know-how per potersi cimentare. L’altra è l’Health Surveillance, cioè avere una sorveglianza dell'andamento della pandemia. Noi sappiamo quanto questo sia complicato persino in Paesi molto evoluti - anche soltanto per la gestione dei dati della pandemia - figuriamoci in quelli che non hanno l'infrastruttura IT che abbiamo noi. Il terzo è il tema vaccinale, che rimane una grande questione sotto il punto di vista della prevenzione. Med-Or vuole muoversi anche in questo campo. Se si vuole avere un'ambizione bisogna sempre cimentarsi con programmi particolarmente impegnativi, poi, soltanto in futuro saremo capaci di realizzarli.

Alla luce dei rivolgimenti dell’ultimo decennio, della destabilizzazione della Libia e del nuovo protagonismo turco, si può dire a Suo avviso che il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo si sia fortemente indebolito? Ed esistono ancora margini di recupero, soprattutto nei rapporti con i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo?

La verità è che è cambiato il mondo. Il Mediterraneo è stato uno dei luoghi di massima accelerazione dei cambiamenti mondiali, sorprendendo un po' tutti. Per un certo periodo era diventato senso comune che la vera sfida per la sicurezza del pianeta fosse il Pacifico. Il Mediterraneo era un teatro secondario per gli equilibri del pianeta. Quello che è successo nell'ultimo anno e negli ultimi mesi ha cambiato radicalmente la percezione della realtà, che è mutata significativamente. I cambiamenti sono stati di carattere epocale. Una personalità del passato ha detto che in alcuni decenni non succede nulla, mentre ci sono poche settimane nelle quali succedono cose che valgono per decenni. Questi cambiamenti epocali nel Mediterraneo vedono due protagonisti: Turchia e Russia. Se qualcuno soltanto pochi anni fa avesse parlato di una Siria divisa in zone di influenza tra Russia e Turchia, della presenza della Turchia e della Russia in Libia e del fatto che abbiamo nel Mediterraneo centrale e orientale due protagonisti del tutto nuovi, nessuno ci avrebbe creduto. Se qualcuno avesse detto che nel Sahel potesse esserci un colpo di stato fatto da alcuni ufficiali di formazione russa, nessuno ci avrebbe creduto. Invece, è andata così. È la pura e semplice realtà. Questi sono cambiamenti di lungo periodo, che di fatto realizzano due aspirazioni storiche di questi paesi, due ambizioni che possiamo definire dei “sogni imperiali”. A poco più di 100 anni dal crollo dell'Impero Ottomano, la Turchia realizza un pezzo fondamentale di quello che era il sogno dell'impero Ottomano. La stessa cosa fa la Russia. Il Mediterraneo per la Russia è sempre stato un quadrante strategico, fin dal tempo degli Zar.
Da questo punto di vista, c'è un elemento di connessione tra gli Zar, l'Unione Sovietica e Putin. C'è un terreno di assoluta continuità. Dimostra che la storia del mondo è a volte più complessa e alle volte è più semplice, ma basterebbe soltanto seguirla. Però non si possono sovrapporre delle visioni di carattere ideologico. Noi tutti leggiamo la realtà, secondo quello che vorremmo che fosse e non secondo quello che è. Si chiama mettere gli occhiali dell’ideologia, occhiali che però sono deformanti. L'ingresso di due grandi protagonisti come Russia e Turchia nel Mediterraneo pone un problema di taglia. Per misurarsi con Russia e Turchia la scelta più sbagliata sarebbe che l'Europa reagisse in ordine sparso, cioè che ognuno pensi di potersi misurare da solo. Non sarebbe una novità. L'Europa in passato si è spesso cimentata con le crisi in ordine sparso. Invece, bisogna cimentarsi da Europa, per due ragioni. La prima è che c'è appunto un problema di taglia: per confrontarsi con Russia e Turchia ci vuole una dimensione un po' più grande e l'unica che può averla è l'Europa. Secondo, perché è evidente che in questa partita si gioca qualcosa di più importante della geopolitica. Non sfugge a nessuno che Turchia e Russia - per usare il termine più prudente possibile - sono delle democrazie non compiute. Pur con tutte le sue contraddizioni, l’Europa è il cuore delle democrazie del pianeta ed è chiaro che c'è una sfida sul modello di costruzione di sistema statuale, modello ancora di più messo sotto pressione dalla pandemia. Quante volte abbiamo sentito in questo periodo ‘forse è meglio che ci sia uno solo a comandare’, oppure ‘nel momento in cui si tratta di prendere le decisioni più difficili è meglio essere più tempestivi’. Sembra quasi ci sia stata una sorta di fastidio ad accettare i percorsi propri di una democrazia. Poi si è visto che la partita non è così semplice. Ci sono stati luoghi dove c'è uno solo al comando che hanno gestito pessimamente la pandemia e paesi, dove ci sono stati i passaggi democratici, che l'hanno gestita meglio. Sappiamo perfettamente che c'è di mezzo il sentimento popolare. Quindi, c’è di mezzo una sfida che ha una posta in gioco molto più alta della semplice questione geopolitica. Infine, sullo sfondo, c’è il rapporto tra l'Europa, il Mediterraneo e l'Africa. L'Europa deve convincersi di alcune cose: alcuni processi sono ineluttabili e l’Europa deve guidarli o subirli. Anche altre grandi comunità hanno subìto la storia. Altre volte, però l'hanno guidata ed oggi l'Europa deve decidere se vuole guidare questo percorso. L'Europa dopo l’89 - dopo il crollo del muro di Berlino - ha pensato che la sfida fondamentale fosse quella ad est. L’obiettivo era far diventare amici i nemici di un tempo. La grande questione del rapporto con la Russia, un rapporto molto delicato. La crisi dell'Ucraina ha reso evidente che c'era un problema e non era una questione inventata. Tuttavia, mentre noi ci occupavamo dell'est, l'est è scivolato nel Mediterraneo. Nel senso che quel problema, che sembrava limitato al controllo dei cieli baltici - dove ci sono missioni europee e della NATO - si è spostato nel Mediterraneo con due potenze orientali presenti fino al Mediterraneo centrale. Tutto questo comporta due elementi di valutazione. Il primo è che l'Europa ha capito un po' tardi che il Sahel è il vero confine meridionale dell'Europa. Tutto questo appare in maniera più evidente oggi che c'è una missione Europea nel Sahel, ma era già palese qualche anno fa. Continuare a non comprendere tutto questo, ci rende più deboli, più fragili. Nei prossimi vent'anni il punto cruciale sarà il rapporto dell'Europa con l'Africa e l’Europa deve recuperare il tempo perduto. Deve chiedersi per quale ragione la Cina oggi è fortemente presente in Africa e perché iniziano ad essere presenti anche la Russia e la Turchia. L’Europa non deve rivendicare antichi progetti coloniali, finiti per sempre, ma comprendere che un pezzo di futuro dell'Europa si giocherà in Africa. Lì si giocano le tre partite cruciali per il futuro dell'Europa. La prima è la partita energetica, delle materie prime, che è ogni giorno sotto gli occhi di tutti. Le nuove tecnologie dipendono dalle materie prime dell'Africa, c’è un punto di collegamento diretto tra Cupertino e il cuore dell'Africa. La seconda è la questione degli equilibri demografici: l'Europa cresce demograficamente poco o addirittura a crescita zero o sottozero, mentre l'Africa cresce in modo imponente. Queste cose vanno governate, se non vengono governate saranno un elemento di destabilizzazione permanente. Siccome diciamo che governare significa non subire processi, l'Europa deve darsi l’obiettivo di governare i grandi squilibri demografici. Terzo, la questione del terrorismo. Proprio nelle ore passate c'è stato un attentato in Burkina Faso, si è suicidato il capo di Boko Haram. L'Africa è diventato il nuovo incubatore del terrorismo internazionale con Al Qaeda e l’Islamic State. C'è un problema di prevenzione e di contrasto al terrorismo internazionale. Tutto questo si fa in Africa. Il problema non è più dell'Italia, della Germania o della Francia. Se questi paesi si illudono di poter avere un’autonomia politica - a volte anche concorrenziale nel rapporto con il Mediterraneo - si trovano di fronte ad una drammatica illusione.

Lei è stato tra i più fermi oppositori, nel Partito Democratico, di quello che ha definito ‘il non governo della questione migratoria’. La questione del governo dei flussi è, naturalmente, ancora aperta ed attuale, e Lei l’ha definita ‘un rischio per la tenuta democratica del Paese’. Come vede il ruolo dell’Europa?

Già mi sembra molto importante che l'Europa abbia assunto, rispetto alla crisi provocata dal Covid, una postura significativamente diversa rispetto alla crisi del 2008-2009, postura che segna un salto di qualità. Elemento molto importante, ma che da solo non basta. Penso, per esempio, che l'Europa debba cimentarsi sul grande tema del governo dei flussi migratori, con lo stesso spirito con cui ha affrontato il tema della solidarietà nella ricostruzione economica dopo il collasso del Covid. Da questo punto di vista, io continuo a pensare che le democrazie siano sfidate e debbano essere difese e rilanciate. Considero fondamentale che l’Europa sia una grande potenza democratica. Avremo nei prossimi anni dei cambiamenti negli assetti economici del pianeta. I protagonisti del mondo oggi sono gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’Europa e l’India. In questo momento abbiamo che l’equilibrio tra democrazie e democrazie non compiute è sul filo del rasoio. Se dovessimo contare le popolazioni avremmo perso. L'Europa deve essere un pochino più coraggiosa, è arrivato il momento per l'Europa di mettere in campo un progetto per l'Africa, un progetto per il Mediterraneo, un piano di investimenti e di interventi per la qualità della vita. Bisogna partire da un immediato piano di interventi per il Mediterraneo centrale e l'Africa Settentrionale, un piano di costruzione economica, sociale e sanitaria della Libia e guardando anche alla Tunisia. Si parte dalla Libia perché è la realtà più complicata che esiste e si guarda alla Tunisia perché è l'unico Paese che è uscito dalle primavere arabe come uno stato democratico. Al di là del fatto che può scattare un gigantesco effetto domino, non è accettabile che collassi l’unica democrazia uscita dalle primavere arabe. Per questo ci deve essere un impegno di tutte le grandi democrazie. Se tutto questo è il quadro emerge, per l’ennesima volta, un fatto, cioè che il Mediterraneo non è un’area secondaria, anzi è quella dove si gioca il futuro del pianeta.

Attorno al 2000 si discuteva di come la morte dell'ideologia avesse allontanato le nuove generazioni dalla militanza politica ma si parlava ancora in termini positivi di partiti post-ideologici, di partiti leggeri e di partiti liquidi. Oggi la nostra impressione è che un numero crescente di cittadini fatichi persino a comprendere quale sia l'utilità del politico come figura professionale. A suo modo di vedere, la politica come professione ha un futuro? È realistico pensare alla rinascita di partiti solidi, strutturati e radicati nella società e nei territori oppure il futuro della politica come professione è slegato dalla forma partito?

Sono uno che ha salutato positivamente il tramonto delle ideologie intese come falsa coscienza, come uno schermo che ti portava a vedere la realtà in maniera diversa da quella che era effettivamente. Ma un conto è la perdita delle ideologie e una cosa è la perdita dei princìpi. Sono due cose molto differenti e abbiamo fatto un po' di confusione. La politica senza valori e princìpi non esiste. Non ci può essere un’indifferenza valoriale, perché è evidente che l’indifferenza valoriale ha aperto la porta alla prevalenza di quelli che vengono chiamati gli orientamenti di carattere populista. Non penso che siamo di fronte a un’eclissi del populismo. Ritengo che sarebbe un drammatico errore di valutazione pensare che la partita sia conclusa. Invece, la sfida è sistematicamente aperta e dipende da come le democrazie reagiranno.
È molto importante che la politica metta in campo una capacità di rinnovarsi, perché l’unica cosa che non si può fare è reagire alla crisi della politica con una politica che sta ferma o che pensa a come eravamo. Non è possibile né stare fermi né ritornare a quello che eravamo. Va fatta una cosa nuova, sapendo che questi anni ci hanno insegnato una cosa semplice, cioè che il principio per cui uno vale uno non è vero. Uno non vale uno. Se c’è un’emergenza sanitaria non puoi chiamare il primo passante. La politica deve servire a selezionare un pezzo della classe dirigente. C’è una crisi di sistema della politica che può essere superata solo se non ci si chiude in un fortino. La “Fortezza Bastiani” non funziona. È chiaro che abbiamo bisogno di professionisti della politica - non che vivono di politica - ma che abbiano insieme due cose. La prima sono i rapporti interpersonali, con una politica che sappia rapportarsi col popolo. Non è possibile pensare che il popolo le sbagli tutte. Il popolo conta anche quando dice cose che a noi appaiono sbagliate. Ci possiamo impegnare politicamente, culturalmente ed intellettualmente a contrastare queste cose, ma queste cose contano perché il popolo è la radice della democrazia. Bisogna occuparsi del popolo anche se è più difficile. Si viene messi costantemente in discussione e il politico deve essere all’altezza della sfida. La politica deve avere entrambe le cose, deve avere un valore, deve avere dei valori e deve misurare il valore e i valori con il popolo che di una democrazia è il giudice ultimo. Valori autoreferenziali non funzionano. Abbiamo una certa indulgenza verso noi stessi e siamo tendenti ad autoelogiarci. Quando raggiungiamo livelli eccessivi di autoelogio, allora quello è il primo passo verso la perdizione.

Marco Sonsini

Editoriale

PRIMOPIANOSCALAc gode di un grande privilegio. Quello di un correttore di bozze speciale che, oltre a segnalarci refusi o piccoli errori di altra natura, commenta in anteprima le nostre interviste. Devo ammettere che il suo riscontro è sempre in linea con quello che pensano i nostri altri lettori. Non sempre infatti quella che a noi sembrava una bella e interessante intervista è stata ricevuta con il nostro medesimo entusiasmo dai nostri lettori. Il ‘correttore’ invece è sempre sulla stessa lunghezza d’onda dei lettori, e non sbaglia mai una previsione. Questa volta però il nostro pensiero sull’intervista del mese di luglio si ritrova nel giudizio, inappellabile, del ‘correttore’. “Avvincente, interessante, colta e chiara allo stesso tempo. Arrivi all’ultimo rigo e vorresti saperne ancora di più, vorresti continuare a porre domande.” Speriamo che Marco Minniti, l’intervistato di questo mese sia contento di questa reazione. Noi non avevamo alcun dubbio che così sarebbe stato. Minniti da pochissimo ha lasciato la politica attiva, e l’ha fatto ‘senza nessuna recriminazione e anche con un certo entusiasmo.’ È diventato il presidente della Fondazione Med-Or, nata in seno al gruppo industriale Leonardo lo scorso 3 giugno. La Fondazione si occuperà di aree strategiche per il nostro Paese e, come ci dice Minniti, sarà una piattaforma al servizio del sistema Paese in aree chiave importantissime come il Mediterraneo, in cui si specchia l’Italia ma anche tutta l’Europa, e poi anche il Sahel, il Medio Oriente, fino ad arrivare all’India. Regioni che sono tra le aree più inquiete e complesse al mondo ma pure realtà chiave per le prospettive di sviluppo e della sicurezza non solo dell’Italia ma dell’intera Europa. Passare poi a questioni di geopolitica è stato quasi naturale e il nostro intervistato non ha esitato a dare il suo punto di vista politico sulle recentissime, per alcuni inaspettate, evoluzioni degli equilibri di potere proprio nel Mediterraneo. Cita Lenin, senza nominarlo, e riassume gli ultimi avvenimenti in quest’area del mondo con la celebre frase usata per descrivere la Rivoluzione Russa “Ci sono decenni in cui non succede nulla, settimane in cui accadono decenni.” Ma ci ricorda che nulla accade per caso, e che con il passato c’è sempre un “terreno di continuità.” Fa riferimento alla Russia e alla Turchia, che nel Mediterraneo hanno sempre visto un quadrante strategico e che “di fatto realizzano due aspirazioni storiche di questi paesi, due ambizioni che possiamo definire dei sogni imperiali.
Altro tema caldo toccato da Minniti è quello della politica. Ci ricorda di essere uno di quelli che ha salutato “il tramonto delle ideologie intese come falsa coscienza, come uno schermo che ti portava a vedere la realtà in maniera diversa da quella che era effettivamente.” Ma una politica senza valori, senza una classe dirigente competente, e che si chiude in un fortino, perdendo il rapporto con la realtà e con il popolo, è una politica perdente. Ci riporta al Buzzati de ‘Il deserto dei Tartari’ e fa riferimento alla Fortezza Bastiani, rimasta una costruzione arroccata su una solitaria montagna, dove si trascorre una vita in fuga dal tempo. Un rischio di isolamento e di autoreferenzialità che la politica sta correndo. E per dirla con Minniti “Valori autoreferenziali non funzionano. Abbiamo una certa indulgenza verso noi stessi e siamo tendenti ad autoelogiarci. Quando raggiungiamo livelli eccessivi di autoelogio, allora quello è il primo passo verso la perdizione.”
Questi sono solo alcuni cenni su questa importante intervista, cenni che sono certa accenderanno ancor di più, in voi, il desidero di tuffarcisi dentro!
La copertina di luglio di PRIMOPIANOSCALAc segue la linea grafica di quest’anno con una pagina bianca strappata dalla quale si intravede uno stralcio dell'intervista in italiano e inglese, popolata da un insetto che guarda verso il testo. A Minniti abbiamo dedicato la falena imperatrice o falena gigante della seta. Questi bellissimi lepidotteri, della famiglia dei Saturnidi, al termine dello stato larvale producono un resistente filamento proteico che, al contatto con l’aria, si solidifica, divenendo resistente e lavorabile: la seta. Le falene, come le farfalle, sono soggette a metamorfosi che le trasforma in esseri completamente nuovi. Quale migliore immagine per indicare rinnovamento, rigenerazione, trasformazione in un nuovo sé? L'Actias Luna della copertina poi è particolarmente sofisticata, con le sue ali decorate da macchie ocellari, che ricordano non a caso, in alcuni dettagli, la forma di luna calante e di luna crescente, e lunghe code ricurve. È di colore verde lime, con una bordatura viola, il corpo è bianco e le antenne gialle. È considerata una tra le più belle falene al mondo, tanto che la sua immagine è stata stampata su una serie di francobolli da collezione. Rinnovarsi e cambiare sì, ma con eleganza!

Marco Minniti

Marco Minniti, è Presidente della Fondazione Med-Or, nata su impulso di Leonardo lo scorso febbraio. Fino ad allora, Minniti è stato eletto, dal 2001 e per cinque legislature, prima al Senato e poi alla Camera.
Dal 2016 al 2018 è stato Ministro dell’Interno del Governo Gentiloni. Nel 2013, durante il Governo Letta, è stato nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - Autorità Delegata per la sicurezza della Repubblica, riconfermato in questo incarico durante il successivo Governo Renzi nel 2014. È stato Vice Ministro dell'Interno nel Governo Prodi II, dal 2006 al 2008; Sottosegretario al Ministero della Difesa nel Governo Amato II, dal 2000 al 2001; Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei Governi D’Alema I e II, dal 1998 al 2000.
Inizia l’attività politica a 17 anni, quando si iscrive al Partito Comunista Italiano ed entra a far parte della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). Dal 1986 al 1988 fa parte della Commissione Problemi del lavoro e dell'economia del PCI. Dopo lo scioglimento del partito, Minniti entra a far parte del Partito Democratico della Sinistra (PDS); nel 1994 è nominato Responsabile del Dipartimento Problemi del partito e nel 1996 è Coordinatore della Segreteria nazionale. Nel 1998, quando nasce il Partito dei Democratici di Sinistra, presieduto da Massimo D'Alema, Minniti assume l'incarico di Segretario organizzativo. Nel 2007, viene nominato Responsabile per la sicurezza nella Segreteria nazionale di Walter Veltroni. Nel 2008, è Ministro ombra dell'Interno del Governo-ombra del PD. Nel 2009 il Segretario PD Franceschini lo nomina Presidente Nazionale del Forum sicurezza del PD. Lo stesso anno è fondatore e Presidente della Fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis). Nel 2012 il Segretario PD Bersani lo nomina Responsabile PD per la verifica dell'attuazione del programma del Governo Monti.
Minniti è laureato in Filosofia. È sposato con Mariangela ed ha due figlie, Bianca e Serena. È un appassionato di cani, apnea e pesca subacquea. Tifa per la Reggina e l’Inter e segue la squadra di pallacanestro della sua città natale, la Viola Reggio Calabria. Ha 65 anni e vive in un faro…

Marco Sonsini