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Luglio 2017, Anno IX, n. 7

Gaetano Manfredi

Laurearsi è inutile?

I giovani oggi in Italia vivono ancora l’onda lunga della crisi. Realizzarsi oggi per un giovane è certamente più difficile di quanto non fosse solo 15 anni fa, ma la laurea riesce ancora ad arricchire la professionalità di coloro che la conseguono e rappresenta ancora un investimento vincente

Telos: Una domanda d’obbligo, al Rettore e al Presidente della CRUI: l’Università italiana oggi fa un buon lavoro nel preparare i giovani, rispettivamente, al lavoro e alla ricerca? Quali aspetti è impegnato a migliorare?

Gaetano Manfredi: I giovani oggi in Italia vivono ancora l’onda lunga della crisi, che stenta purtroppo a ritirarsi. Realizzarsi oggi per un giovane è certamente più difficile di quanto non fosse solo 15 anni fa, ma la laurea riesce ancora ad arricchire la professionalità di coloro che la conseguono e rappresenta ancora un investimento vincente, come dimostrano i dati sulle migliori opportunità di occupazione e di reddito dopo la laurea rispetto al diploma. L’università italiana, malgrado mille difficoltà, riesce a fornire un percorso formativo di grande qualità, sia per l’inserimento nel mondo del lavoro che della ricerca, sia in Italia che all’estero. Inoltre, a differenza di quanto accade in molti altri Paesi, inclusi gli Stati Uniti, la qualità media è alta ed abbastanza distribuita tra tutti gli atenei. Nelle classifiche internazionali infatti, sebbene nessuna tra le università italiane occupi i primissimi posti, accade che molte ricadano comunque nella parte alta della classifica. Cioè, non troverete atenei italiani tra i primi 10 al mondo, qualsiasi classifica consideriate, ma troverete comunque un quinto degli atenei italiani tra le top 1000, come accade per ARWU o Webometrics, due delle più prestigiose classifiche internazionali.
Certo ci sono aspetti da migliorare, a cui l’intera comunità accademica sta lavorando. Tra tutti il tema dell’internazionalizzazione, che è sempre più importante per aumentare il valore dei percorsi formativi negli atenei italiani, ed i rapporti con le imprese. Gli atenei italiani ed il governo stanno infatti lavorando per avvicinare sempre più le imprese al mondo della ricerca universitaria, a vantaggio della formazione, dell’innovazione tecnologica e quindi dell’inserimento nel mondo del lavoro.

Molti studenti meridionali continuano ad andare a studiare nelle Università del centro-nord. Esiste una effettiva divaricazione tra atenei del Nord e del Sud in termini di qualità della didattica e della ricerca?

Non credo ad una divaricazione tra atenei del Nord e del Sud. Del resto questo fenomeno si manifesta solo in alcune regioni del Sud. Grandi eccellenze in tantissimi ambiti scientifici sono presenti al nord come al sud, e quindi eccellenti percorsi universitari possono essere intrapresi ovunque, a Napoli come a Catania, come a Torino o Padova. Esiste invece una difficoltà di alcuni ambienti universitari, più spesso al sud che al nord, a rimanere al passo con l’innovazione, a mantenere alta la qualità della ricerca, e quindi la qualità dei programmi didattici erogati; ciò è spesso effetto di una minore vivacità figlia delle condizioni di contesto e delle difficoltà economiche del tessuto produttivo, che non stimola ed alimenta la continua crescita culturale, sempre necessaria in ogni ambito accademico.
Tutto ciò può essere contrastato, incentivando i rapporti con le imprese competitive, stimolando l’innovazione scientifica e tecnologica, innestando giovani capaci e studiosi riconosciuti nelle comunità accademiche più in difficoltà, ed adoperando sistemi di incentivi che stimolino la politica della qualità. Molto va ancora fatto in questa direzione.

La politica e le Istituzioni sono attente alle istanze dell’Università? Che cosa chiederebbe loro?

La politica deve acquisire consapevolezza rispetto all’importanza del sistema universitario per il Sistema-Paese. Infatti, volersi interrogare sulle politiche necessarie a governare il sistema universitario in Italia obbliga a valutare attentamente il ruolo che le università hanno avuto fino ad ora e possono avere in futuro sul sistema economico e sociale in Italia. L’attività delle università si riconduce a tre obiettivi principali: fare educazione di alto livello, fare ricerca, incidere sulla società trasferendo cultura e conoscenze scientifiche. Fuor di retorica, si tratta di leve incredibilmente efficaci per incidere sulla società del futuro, per plasmarne le caratteristiche e per incidere sul benessere economico dei territori cui appartengono le università e dell’intero Paese. Un buon sistema universitario oggi può formare cittadini capaci, a partire dalla classe dirigente, per i prossimi 40 anni, può creare ricchezza attraverso l’innovazione tecnologica delle imprese, può rafforzare il livello culturale delle comunità e dei territori in cui operano le università, può disegnare le città, popolandole di studenti ed alimentando gli spazi della cultura. L’università quindi è una leva efficace per incidere sul futuro del Paese, ma deve essere finanziata adeguatamente, se si vuole fare davvero il bene del nostro Paese.
Uno dei più grandi errori che si possono commettere, in tempi di risorse limitate, come quelli che viviamo ormai da un decennio, è quello di considerare l’università come una leva facoltativa; come un’opportunità politica, che si può decidere di non cogliere, in particolar modo se i risultati non possono essere apprezzati nel breve periodo. L’università va invece governata con una politica di rilancio di lungo periodo; si tratta questa di una necessità vitale per l’Italia.

Più volte Le è stato offerto di candidarsi, ma ha sempre opposto il Suo rifiuto. Non sarà per caso uno dei pochi superstiti difensori della politica come professione?

Non so se sono uno dei pochi superstiti, ma credo che l’impegno politico richieda competenze specifiche. In situazioni particolarmente critiche è giusto per lo Stato e le Istituzioni avvalersi delle competenze provenienti dalla società civile, dal mondo accademico e delle professioni. Ritengo, però, che una volta superate le difficoltà contingenti, le Istituzioni debbano essere guidate da chi ha la capacità di guardare lontano e delineare un percorso politico di lungo termine. Sono tra chi crede che fare politica non sia un’attività deplorevole, ma anzi nobile e importante e debba essere fatta quindi da persone capaci, esperte, che sappiano dedicarcisi a tempo pieno con passione e generosità. Non escludo che queste caratteristiche possano essere possedute anche da chi si presta alla politica, provenendo da altri mondi, ma guardo con rispetto e ammirazione a chi fa politica per mestiere se sa farla nell’interesse del bene comune.

Marco Sonsini

Editoriale

Il grado di dinamismo di una società può essere letto attraverso la capacità del sistema scolastico e universitario di aiutare i giovani studenti a sviluppare e mettere a frutto i propri talenti, nel mercato del lavoro come nella vita, indipendentemente dal successo relativo della propria famiglia di origine. Avere un figlio laureato è stato il sogno, se non addirittura lo scopo di una vita di lavoro di molti italiani. Ma oggi la laurea serve ancora? A sentire Briatore, ma anche Peter Thiel, co-fondatore di Paypal, forse no. Tutti e due sostengono che l’Università è sopravvalutata, e il primo consiglia ai giovani di ‘andare in Africa e nei Paesi emergenti anziché perdere tempo a cercare di laurearsi’, il secondo è convinto che l’università non valga l’investimento e sin dal 2014 ripete che il sistema educativo americano si basa su una bolla speculativa in cui famiglie indebitate si accollano debiti pur di mandare all’università i figli, con l’obiettivo di un titolo che genera aspettative irrealistiche sulle reali possibilità occupazionali. Un terzo imprenditore di successo, Erich Schmidt, CEO di Google, dice “Se tutto ciò a cui tenete sono i soldi, dovreste andare al college. Se tutto ciò a cui tenete è la cultura e la creatività, dovreste andare al college. Se tutto ciò a cui tenete è divertirvi, dovreste andare al college. Andate al college. Non potrei essere più chiaro di così”. In Italia, la laurea resta un’ottima carta da giocare nel mondo del lavoro, ma l’importante è non considerare la laurea come una garanzia, né tantomeno demonizzarla. Cosa ne pensa Gaetano Manfredi, il rettore dei rettori? Serve eccome, anzi i laureati in Italia sono ancora troppo pochi. Certo, ci dice Manfredi, è importante che le università italiane non si limitino ad essere solo centri di formazione e ricerca, ma diventino agenti sociali ed economici, motori dello sviluppo e della trasformazione dei territori e della società. Per questo, nel suo ruolo di Presidente della Conferenza dei Rettori, è impegnato, tra le tante sfide, a favorire le potenzialità relazionali tra atenei e mondo economico. Quali sono le altre?  Il nostro sistema universitario ha conosciuto solo di recente lo strumento dell’internazionalizzazione per accrescere la qualità dei nostri atenei. Per lungo tempo l’università è stata considerata una turris eburnea autoreferenziale, chiusa quindi agli stimoli del mondo, e i primi accenni di internazionalizzazione, negli anni ’80, sono stati concepiti soprattutto in funzione della mobilità degli studenti, in aderenza ai dettami europei. Negli anni ’90, oltre alla presenza dei nostri studenti e ricercatori all’estero, si comincia a misurare quella, nelle nostre realtà accademiche, di studenti e ricercatori stranieri. Ne viene fuori un quadro desolante, specialmente nel confronto europeo ed extraeuropeo. Oggi gli atenei italiani devono lanciare iniziative di respiro più ampio- e non solo corsi in lingua inglese- che interessino soprattutto l’area geografica asiatica e mediterranea.  Da questi Paesi emergenti potremo attrarre cervelli e linfa vitale, oltre che un numero di studenti che si iscrivono, studiano e pagano le tasse universitarie. Il Prof. Manfredi è molto ottimista, anche se, senza però cadere nel vittimismo, si augura una maggiore attenzione, una visione di lungo periodo da parte della politica. Politica che spesso gli ha fatto l’occhiolino, cercando di ammaliarlo con le lusinghe di una candidatura se non di un incarico istituzionale, lusinghe alle quali Manfredi ha resistito e resiste. L’ultimo dei Mohicani!

Mariella Palazzolo

Gaetano Manfredi

Gaetano Manfredi è dal 2014 Rettore dell’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’, e dal 2015 Presidente della CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane. Si laurea in Ingegneria nel 1988 presso la ‘Federico II’, è dottore di Ricerca in Ingegneria delle Strutture ed ottiene una borsa di Studio post-dottorato nel 1994. Ricercatore in Tecnica delle Costruzioni dal 1995, nel 2000 diventa Professore Ordinario in Tecnica delle Costruzioni presso la Facoltà di Ingegneria della ‘Federico II’, e nel 2003 Direttore del Dipartimento di Analisi e Progettazione Strutturale. Manfredi è uno dei massimi esperti in Italia di ingegneria sismica ed è Presidente del consorzio universitario Reluis, rete dei laboratori di ingegneria sismica che opera in stretto raccordo con la Protezione civile nazionale. Autore o curatore di 9 libri ed oltre 400 lavori pubblicati su riviste o presentati a congressi internazionali, la sua ricerca, sia di tipo teorico che sperimentale, è focalizzata sul comportamento sismico delle strutture realizzate in diversi materiali, nonché sulla vulnerabilità e la riabilitazione dei beni culturali. 
Coordina numerosi progetti scientifici sia promossi dall’Unione Europea che a livello nazionale (Centro Nazionale delle Ricerche, dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, etc.). È membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e della Commissione Grandi Rischi.
Ha numerosi altri incarichi di prestigio in Istituti e centri di ricerca internazionali e nazionali, ad esempio è un Esperto del Ministero dell’Università e della Ricerca per il sostegno alla ricerca scientifica ed è stato membro della Commissione CNR per la stesura delle Linee Guida per l’Impiego dei materiali compositi per scopi strutturali. Appartiene a numerose organizzazioni internazionali, tra le quali EERI (Earthquake Engineering Research Institute), FIB (Federation Internationalle du Beton), ASCE (American Society of Civil Engineering), ACI (American Concrete Institute),  e ISO (International Standard Organization).

Umile e appassionato: ‘Ho affrontato ogni cosa importante della mia vita con umiltà (ascoltando sempre gli altri prima di decidere)’. Manfredi ha 53 anni, è sposato, con una figlia, e si definisce un concreto provinciale. È di Nola dove vive con la famiglia. Ci tiene alle radici e sostiene che ‘la provincia dà un senso di concretezza di cui anche Napoli ha bisogno’. E non potrebbe fare a meno del mare del Cilento.

Marco Sonsini