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Febbraio 2022, Anno XIV, n. 2

Stefano Bonaccini

Non Chiamatemi Governatore

"Non ho mai amato la definizione di ‘governatore’ per il ruolo di Presidente di Regione. Non la uso e non credo che lo farò mai."

Telos: Come il premier inglese non è previsto, né nel nome né nei poteri e ruoli, dalla nostra Costituzione, così i governatori non hanno posto nel nostro ordinamento. In Italia, l’unico a potersi fregiare di questo titolo è il governatore della Banca d’Italia. Posta dunque l’improprietà istituzionale del nome, frutto dell’americomania dei nostri media, non crede che l’uso di questa parola ben definisca chi, come già prevedeva l’accezione latina del termine ‘guidatore, reggitore’, governa anche con responsabilità politiche?

Stefano Bonaccini: Se devo essere sincero, personalmente non ho mai amato la definizione di ‘governatore’ per il ruolo di Presidente di Regione. Non la uso e non credo che lo farò mai. Ha ragione lei: è un titolo che non è previsto nel nostro ordinamento, ma che abbiamo preso in prestito dagli Stati Uniti, dove, però, i governatori hanno appunto ruoli e competenze molto diverse, alla guida di Stati federati. Non so dire se io sia un ‘guidatore’, di certo sento quotidianamente la responsabilità e il privilegio di guidare pro tempore una comunità ricca di valori, risorse e saperi come quella dell’Emilia-Romagna. A maggior ragione nel drammatico periodo che stiamo vivendo, con questa crisi pandemica e sanitaria che ha stravolto le nostre vite negli ultimi due anni: i Presidenti di Regione sono diventati dei punti di riferimento e quello che io cerco di fare è rappresentare tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica e geografica, cercando di mantenere equilibrio, ascolto e possibilmente autorevolezza, lontano da quel teatrino della politica, fatto di polemiche e insulti, che ci ha ormai stancato tutti. È il mio modo di interpretare questo ruolo, che per me è un grande onore: da ragazzo sognavo di fare il calciatore, se mi avessero detto che avrei guidato la mia Regione, non ci avrei mai creduto.

La crisi del sistema dei partiti è da molti indicata come l’origine del diffuso sentimento anti-politico. Eppure questo distacco tra cittadini e la politica sembra essere meno evidente a livello locale. Riscontra ancora passione politica tra i Suoi amministrati?

A livello locale è più difficile evitare il giudizio dei cittadini. La distanza con il politico, e ancora di più con l’amministratore, è minore e quindi chi occupa questi ruoli è sottoposto a un giudizio quasi quotidiano. Dover lavorare meglio è necessario oltre che doveroso. Da tempo porto avanti la richiesta affinché la mia parte politica dia più spazio nei propri organi direttivi agli amministratori che operano sul territorio: la maggior parte di loro ha una grande passione, ha fatto la gavetta, capisce l’importanza del confronto con le persone, ha maturato grande competenza e ha una visione spesso concreta dei problemi, senza per questo perdere di vista i valori in cui crede. Ecco, perché, quando è possibile, io giro molto: sono convinto che ascoltare e stare in mezzo alla gente sia la qualità più importante per chi ambisce a servire il proprio territorio. Non significa automaticamente che sei un bravo amministratore, ma di certo, senza essere quotidianamente tra le persone, senza ascoltare e accettare critiche e suggerimenti, non hai speranze di riuscirci.

Presidente della Regione Emilia-Romagna al secondo mandato, rieletto a gennaio 2020, dopo una dura, ma efficace campagna elettorale. Quali lezioni ha tratto dai primi 5 anni di governo? Cosa rifare e cosa no? Ce lo racconta attraverso qualche aneddoto?

Era il 2020, ma sembra passato un secolo. Il virus ha completamente stravolto l’agenda di lavoro per il secondo mandato e naturalmente rivoluzionato le nostre priorità di intervento. Stavamo per raggiungere il 4% di disoccupazione, che per gli esperti rappresenta una quota fisiologica, una situazione di sostanziale piena occupazione, e ci siamo trovati con 90mila posti di lavoro in meno, in gran parte donne e giovani. Oltre la metà già recuperati negli ultimi mesi. La nostra priorità oggi è questa: recuperare e garantire posti di lavoro di qualità, attrarre investimenti, costruire un futuro sostenibile e rispetto per l'ambiente, tema sul quale, da noi per primi, è stato fatto troppo poco; investire sui saperi, a partire dal progetto del Tecnopolo di Bologna, che diventerà uno dei centri di supercalcolo più avanzati al mondo e permetterà all’Europa di competere con i colossi cinesi e americani. La lezione più importante è quella che abbiamo tratto dal Patto per il Lavoro: durante il primo mandato fu un esperimento senza precedenti, un documento condiviso con tutte le parti sociali, datoriali, le istituzioni e le università per tracciare tutti insieme gli assi di sviluppo della Regione e condividere ogni decisione. I risultati sono stati ottimi, prima della pandemia l’Emilia-Romagna è cresciuta ogni anno in termini economici ed è la prima regione per export pro-capite d’Italia. Ecco perché abbiamo rinnovato quell’intesa, l’abbiamo allargata a più soggetti, tra cui le realtà dell’associazionismo e del volontariato, e soprattutto l’abbiamo estesa, firmando con 55 sigle che rappresentano tutte le parti sociali e la società regionale nel suo complesso il nuovo ‘Patto per il Lavoro e per il Clima’. L’emergenza climatica è la priorità del nostro pianeta, il bene più prezioso che abbiamo. La transizione ecologica, unita a quella digitale, non a caso i principi di investimento anche del Next Generation EU voluto dall’Europa, sarà la stella polare di ogni nostra politica. Abbiamo obiettivi chiari: 100% di energie rinnovabili e decarbonizzazione della Regione entro il 2050, ma conto che ci arriveremo prima. Continuando a lavorare insieme, sono molto fiducioso. Mi lasci dire che il patto sociale auspicato a livello nazionale da tanti per ripartire, in Emilia-Romagna è una realtà.

Il tema delle relazioni centro-periferia da tempo è diventato, in tutti i Paesi, oggetto di forti tensioni istituzionali. Da noi, i momenti di conflitto tra il Governo e le Regioni nella gestione dell’emergenza Covid-19 sono stati tanti, ed evidenti. Quanto di tutto questo nasce da problemi precedenti? E, in ogni caso, che fare per venirne a capo?

A dire la verità, non è andata così. Anzi, tutto il contrario. Dall’inizio della pandemia e durante i momenti più difficili dell’emergenza sanitaria, le Regioni hanno condiviso la stragrande maggioranza dei provvedimenti con il Governo. Parliamo del 97,98% delle norme e dei decreti nazionali. Posso dirlo con cognizione di causa, perché guidavo io all’epoca la Conferenza delle Regioni e, al netto di qualche piccola differenza, abbiamo lavorato molto bene con gli esecutivi che si sono succeduti. Comprendo che le polemiche trovino spazio sui giornali, ma i fatti sono questi e incontestabili. Detto ciò, è certo che i rapporti con Stato centrale e Regioni a mio parere possano e debbano trovare un migliore coordinamento, chiarendo la natura di alcune competenze, ma soprattutto delegando alle Regioni un più ampio raggio di intervento. Tornare indietro sarebbe incomprensibile. Ho letto dichiarazioni di chi vorrebbe tornare a una gestione centralistica della sanità, ma chi lo sostiene dovrebbe venire a spiegarlo agli emiliano-romagnoli: sarebbero loro, molto prima di me, a ribellarsi a questa ipotesi. Come Emilia-Romagna, da tempo abbiamo depositato al Governo una richiesta di autonomia differenziata su alcuni ambiti precisi: non chiediamo un euro in più a Roma, anzi, siamo anche disposti a rinunciare persino a qualche soldo, se in cambio avremo la possibilità, per esempio, di decidere il numero degli insegnanti nelle nostre scuole o le politiche di ricerca e sostegno alle attività produttive. Non è presunzione, ma la consapevolezza che su alcuni temi saremmo più veloci e più bravi a vantaggio di cittadini e imprese.

Marco Sonsini

Editoriale

Da ragazzo sognavo di fare il calciatore, se mi avessero detto che avrei guidato la mia Regione, non ci avrei mai creduto”. Non ci stupisce questa affermazione di Stefano Bonaccini, Presidente, per la seconda volta, della Regione Emilia-Romagna. Forse, sotto sotto, di diventare calciatore lo hanno sognato tantissimi italiani, che poi, come Bonaccini hanno praticato il calcetto fino ad età adulta, si sono trasformati in tifosi sfegatati (molti) e esperti di calcio mondiale (pochi). Questa passione emerge spesso anche nel suo linguaggio politico. Ad esempio, nel presentare la nuova Giunta, dopo la sua rielezione nel 2020, disse: "Sarà una Giunta 'sacchiana', tutta in attacco e in pressing. Del gioco di Sacchi, poi, si diceva fosse molto bello: vorrei si vedesse un bel governo". In questa intervista a PRIMOPIANOSCALAc, Bonaccini, oltre a condividere la nostra resistenza linguistica all’appellativo di governatore per i Presidenti di Regione, si sofferma sull’importanza del buon amministrare sul territorio per sconfiggere il distacco degli Italiani dalla politica. Crede talmente nella qualità degli amministratori locali, nella loro concretezza e capacità di stare vicini ai cittadini, “senza per questo perdere di vista i valori” nei quali credono, da aver chiesto al PD di dar loro più spazio negli organi direttivi del partito. Questo suo pensiero lo ha espresso in maniera molto più diretta in un’intervista di quest’estate al Corriere della Sera: “Non perché siamo rossi ma perché abbiamo un modello di relazioni sociali che secondo me merita attenzione. Il rapporto con il territorio è il motivo per il quale ho suggerito a Letta di dare più spazio agli amministratori locali. Sento troppo spesso qualche dirigente nazionale dire cose come se non frequentasse da anni una fabbrica, una scuola, un bar o un mercato”. Una sferzata ad una classe politica sempre più sconnessa dalla realtà. Proprio per questo suo parlar chiaro, a volte perentorio, ma mai arrogante, nei confronti del suo partito, viene spesso accusato di avere ambizioni di altro tipo. Quali? Guidare il PD nazionale. Sussurri che si ripetono e che si inseguono, ma che ad oggi non hanno mostrato avere nemmeno un minimo di veridicità. Quello che invece è evidente a tutti è il lavoro, immenso, che Bonaccini ha fatto e sta facendo alla guida della sua Regione, sempre senza clamore ma con passo costante. #UnPassoAvanti, come recitava la campagna elettorale del 2020, passo avanti al quale ha dato uno stop secco il Covid: “Era il 2020, ma sembra passato un secolo. Il virus ha completamente stravolto l’agenda di lavoro per il secondo mandato e naturalmente rivoluzionato le nostre priorità di intervento”. Eppure, in barba al virus, Bonaccini ci dice che “il patto sociale auspicato a livello nazionale da tanti per ripartire, in Emilia-Romagna è una realtà”.
Ci smentisce sul fatto che la pandemia abbia fatto emergere ancora più chiaramente le dissonanze tra governo centrale e Regioni, senza però dimenticare di sottolineare che l’autonomia regionale è da difendere a spada tratta, anzi da rendere più forte. La battaglia che sta conducendo, con i suoi colleghi-Presidenti di ogni appartenenza politica, è quella di una legge-quadro sull’autonomia. La richiesta non è quella di avere più soldi, ma che venga concessa e garantita più possibilità di programmazione degli interventi e meno burocrazia. “Abbiamo dimostrato nel corso degli anni di saper gestire al meglio le risorse dello Stato – sostiene Bonaccini. Quello che vorrei veder riconosciuto è un provvedimento che è in Costituzione, che ha visto passaggi importanti già con la pre-intesa firmata all'epoca del Governo Gentiloni”.
In ogni caso non toccate agli emiliano-romagnoli il loro Presidente: il suo indice di gradimento nel luglio 2020 toccava il 54%, e nel luglio 2021 è salito al 60%. Il sondaggio de Il Sole 24 Ore, che ogni anno stila la classifica degli amministratori, evidenzia che supera dell’8,5% il gradimento registrato il giorno della sua elezione, nel gennaio 2020.
Continua la nuova veste grafica delle copertine di PRIMOPIANOSCALAc. Dal sapore pop e quasi oniriche, ritraggono il volto dell’intervistato che porta, a mo’ di copricapo, alcuni elementi distintivi della sua opera, ruolo, vita… mescolati con la tecnica del collage, e come nel collage, le figure sono giustapposte le une alle altre, senza elaborazioni. Per Bonaccini abbiamo pensato, ad esempio a parmigiano e tortellini, Juventus e Modena Volley, Bologna, Ferrari, libri, una pizza cinematografica  e “l’uomo che gli ha cambiato la vita perché lo ha ispirato a vivere la politica e il senso delle istituzioni con una moralità e un rigore straordinari”.

Mariella Palazzolo

Stefano
 Bonaccini

Stefano Bonaccini è il Presidente della Giunta della Regione Emilia Romagna, eletto per la prima volta nel 2014 e riconfermato nel 2020 con una coalizione di centro-sinistra. Nel 2010 diventa Consigliere Regionale e lo stesso anno è nominato Segretario regionale del Partito Democratico per l’Emilia-Romagna. In precedenza, nel 2009, è stato eletto al Consiglio comunale di Modena, e dal 1999 al 2006 è stato Assessore Comunale di Modena.
Il suo primo incarico politico risale al 1990 quando è stato Assessore alle Politiche giovanili del Comune di Campogalliano (MO), il suo paese d’origine.
Bonaccini dal 2015 al 2021 è stato Presidente della Conferenza delle Regioni e, dal 2016, presiede il Consiglio delle Città e delle Regioni d’Europa (CCRE), fondato a Ginevra nel 1951, è l’associazione europea più antica e più estesa dei governi locali e regionali.
È un appassionato di cinema e di letteratura (legge di notte!), ma ha anche pubblicato due saggi di politica, nel 2020 “La destra si può battere. Dall'Emilia Romagna all'Italia, idee per un paese migliore” e, nel 2021, “Il Paese che vogliamo. Idee e proposte per l'Italia del futuro”.
Appassionato di calcio, di quello nazionale ed internazionale. È questo uno sport che ha anche praticato fino a 38 anni, nel ruolo di attaccante, in diverse squadre locali. Tifa per la Juventus e per il Modena. Quando può, non si perde una partita del Modena Volley. Ama la geografia, e divora guide turistiche, anche se negli ultimi anni ha rinunciato spesso a viaggiare per turismo. In compenso si sposta molto per lavoro, in Europa nel Mondo. I suoi cibi preferiti sono – ça va sans dire - i tortellini e il parmigiano reggiano.
È sposato con Sandra ed ha due figlie, Maria Vittoria e Virginia. Ha 55 anni.

Marco Sonsini