Gennaio 2013, Anno V, n. 1

Una donna politica che conosce la politica

di Mariella Palazzolo

Da liberale sono contraria all’idea che lo Stato debba assistere il cittadino dalla culla alla tomba. È una forma di paternalismo che deresponsabilizza l’individuo.  

Telos: La Seconda Repubblica era nata sotto l’auspicio di un profondo rinnovamento dell’architettura istituzionale. Dopo vent’anni, ci ritroviamo con il bicameralismo perfetto, un sistema delle autonomie pletorico e mal calibrato, una legge elettorale che rende persino superflua la fatica dell’elettore di recarsi alle urne. Supponendo che la prossima legislatura offra prospettive più incoraggianti dell’attuale, quali sarebbero a Suo parere le priorità da affrontare?    

Emma Bonino: La sua supposizione è ottimista. Anche nel 2008, all’inizio della legislatura, si diceva che la riforma elettorale era prioritaria. Invece, la partitocrazia ha continuato a sottrarre democrazia e legalità a danno degli italiani. Qualcuno pagherà il conto? Ovviamente no. Sono decenni che noi radicali ci battiamo a viso aperto per un sistema uninominale all’anglosassone, promuovendo il referendum del 1993 stravinto nel Paese ma tradito dai partiti, e oggi continuiamo a sostenere che sia il sistema che meglio tiene in vita una certa idea di democrazia: maggioritaria, tendenzialmente bipartitica e che valorizza il rapporto diretto con l’elettore. Parlare di dimezzamento del numero di parlamentari o di semi-presidenzialismo non ha senso se non si decide prima con quale regole si va al voto.

La crisi finanziaria ha messo l’integrazione europea a dura prova. Le politiche di austerità sono un passo in avanti verso la costruzione di una Unione economica o sono destinate ad approfondire il divario di competitività tra Paesi creditori e debitori all’interno della moneta unica?

Anzitutto vorrei precisare che la crisi non è ancora finita e che continua ad essere il problema numero uno. Da un canto, si deve ancora trovare il modo di rompere il circolo vizioso nei Paesi a sud: le loro economie in recessione rendono arduo ridurre il debito e rilanciare la crescita. Dall’altro, le banche europee rimangono deboli e quindi vulnerabili. In più, dobbiamo continuare a finanziare il salvataggio della Grecia, sperando che il contagio non si allarghi ad altri Paesi a rischio. Ma quello che a me pare lampante è che la soluzione della crisi continuerà a sfuggirci se non creiamo una sovranità federale a livello europeo. Attuare politiche di austerità e fare piccoli ed incerti passi verso una maggiore integrazione - come è stato fatto recentemente con la decisione sulla sorveglianza bancaria - non ci caverà d’impaccio nel medio e lungo termine. Anzi, continuando così, c’intrappoliamo da soli. L’uscita definitiva dalla crisi passa attraverso un cambiamento di tutt’altro respiro: ci impone di considerare l’eurozona come un insieme e, senza una legittimità democratica all’altezza di questo insieme, le reciproche intrusioni nelle politiche nazionali alla lunga logoreranno tutti. Eppure, le decisioni da prendere attorno alle quali creare un consenso popolare sono note a tutti: un bilancio federale e una tesoreria unica, una vera unione bancaria (regolamentazione e vigilanza unica, garanzia sui depositi e risoluzione dei conflitti), la costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Un passo in direzione di una di queste decisioni che ignori le altre, senza una visione d’insieme, fornendo né contesti né calendari, ha come effetto quello di creare nuovi divari, nuove incertezze per l’economia reale, nuove vulnerabilità rispetto al resto del mondo, nuovi sacrifici che la generazione attuale trasferisce a quelle future... Personalmente, la direzione che ritengo preferibile l’ho già indicata da tempo. Sono per una federazione leggera che si rifà al federalismo di Spinelli, Monnet, Adenauer, adattandolo però alla realtà di oggi. Il che vuol dire un bilancio federale, che non assorba oltre il 5% del Pil europeo, al servizio di vere funzioni di governo per la fornitura di beni pubblici importanti, come la sicurezza e la difesa, la politica estera, i grandi programmi di ricerca scientifica, le reti infrastrutturali trans-europee, la sicurezza dei traffici delle merci e delle persone. Così, con una capacità anche di tax and spending, si assolverebbero anche due funzioni di governo cruciali: stabilità macro-economica e redistribuzione. La mia proposta può essere apprezzata o meno ma se mi si dice di no, qual è un’alternativa sostenibile?

Veniamo alle conseguenze dell’Austerità. Dal Governo tecnico è giunto un monito sulla sostenibilità dello Stato sociale (in particolare della sanità pubblica) che molti hanno interpretato come la prima avvisaglia di una privatizzazione del welfare. Da esponente di un partito che, unico in Italia, si è sempre definito con giusto orgoglio “liberale e liberista” ma che al tempo stesso si è battuto in difesa dell’universalità dei diritti in ogni campo, come pensa che debba essere riformato lo Stato sociale?

Da liberale sono contraria all’idea che lo Stato debba assistere il cittadino dalla culla alla tomba. È una forma di paternalismo che deresponsabilizza l’individuo. Oltre tutto è una macchina costosa, che brucia risorse e ingrassa la burocrazia. Se poi questo tipo di welfare non è neppure efficiente cioè gli elevati contributi previdenziali e le tasse versate dai cittadini non si traducono in servizi pubblici accessibili e funzionanti, con il corollario poi del clientelismo e della corruzione - allora tanto vale lasciare qualche soldo nelle loro tasche per consentire di pagarsi privatamente qualche prestazione professionale di loro scelta. Se fossimo davvero in un paese liberal-democratico - anziché con radici stataliste e dirigiste - avremmo da una parte l’universalità dei servizi essenziali penso in particolare a quelli orientati alle donne e ai non autosufficienti - e l’uguaglianza delle opportunità, dall’altra lo spazio necessario per promuovere l’iniziativa d’impresa, sia a livello individuale che collettivo, senza la quale non ci sarà mai crescita. Ma, soprattutto, è lo status quo a non essere più sostenibile. L’attuale modello sta crollando sotto il peso della curva demografica che si è allungata e dell’impressionante onere finanziario. Bisogna passare ad un sistema più razionale e aperto all’innovazione, e questo non solo perché ce lo chiede l’Europa. Personalmente comincerei da forme che valorizzino il ruolo delle donne, un capitale finora scandalosamente sotto-utilizzato.

In quasi 40 anni di vita istituzionale sia in Italia che nell’UE, Lei ha ricoperto numerosi incarichi elettivi e non. È una delle poche donne che potrebbero aspirare al Quirinale. È possibile pensare ad un leader politico donna in Italia?

In Italia ci sono state leader politici donne. Il problema è un altro. Ci sono ancora delle funzioni istituzionali che vengono viste come appannaggio degli uomini. Ministro della Difesa per esempio. Oppure Ministro dell’Economia o Governatore della Banca d’Italia. E ovviamente Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica. Da noi c’è ancora la tendenza a dire alle donne andate pure avanti ma a condizione di non disturbare il manovratore. Anche a livello dei partiti magari si fanno le quote di genere ma poi il segretario - quello che decide - è quasi sempre un uomo. Le donne devono farsi avanti e affermarsi con le proprie forze e non auto-compiacersi quando vengono cooptate dai maschi.  

Editoriale

“Non una donna in politica, ma una donna politica. Politica significa rompere gli schemi, costruire consenso sociale, assumersi responsabilità. Una donna politica conosce la politica, non la disprezza e non la esalta. Tiene conto dei suoi limiti e cerca di forzarli e di oltrepassarli. Per questo si impegna, a prescindere dalle facilitazioni di carriera.” Abbiamo usato per il nostro titolo alcune delle parole che, il politologo Gianfranco Pasquino, scrisse per descrivere Emma Bonino nel 1999, e che, anche a distanza di più di un decennio, rimangono semplicemente perfette. E quella Bonino, protagonista di un modo diverso di fare politica, attraverso un cammino per i diritti che, tra vittorie e sconfitte, ha indubbiamente cambiato alcune regole e il costume del nostro Paese, si ritrova, ancora una volta, in questa sua recente affermazione la libertà prende forma con i diritti e sono i doveri a darle tenuta, anzi diritti e doveri sono le facce di una stessa medaglia. Un messaggio semplice quanto inconsueto. L’intervista di Primo Piano Scala c è testimonianza tangibile della veridicità di questa descrizione: infatti Emma Bonino replica, con il suo personalissimo stile asciutto e diretto, alle nostre domande su 4 temi diversi: rinnovamento istituzionale, integrazione europea, stato sociale, oltre che donne e potere (istituzionale naturalmente). Dopo quasi 40 anni di vita pubblica, alla Bonino sembra proprio che in Italia si siano fatti passi da formica in tutti e quattro gli ambiti. La differenza sostanziale con altri critici degli status quo italiano ed europeo sta nel fatto che Bonino non si accontenta di indicarne limiti e problemi, ma per ognuno dei temi affrontati fornisce una possibile soluzione. Proposte apprezzate o meno - per citare un passo dell’intervista - ma se mi si dice di no, qual è un’alternativa sostenibile? Fustigatrice del sistema italiano che definisce dalle radici stataliste e dirigiste, non riserva minore severità agli Stati Membri dell’UE, che si limitano a fare piccoli ed incerti passi. Servono coraggio e responsabilità, queste sono le parole che percorrono tutta l’intervista. Un linguaggio, quello di Bonino, dal quale traspare la profonda conoscenza della storia della politica più o meno recente. Citare oggi Spinelli, Monnet, Adenauer è già di per sé un atto di coraggio. Il tutto unito alla speranza, quasi certezza, che le possibilità di cambiare esistono eccome. Non si deve mai dire troppo tardi. Anche in politica non è mai troppo tardi. C’è sempre tempo per un nuovo inizio (Adenauer), ma l’Unione Europea non si può fondare solo sulle buone volontà, c’è bisogno di regole (Monnet), anche se la via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà (Il Manifesto di Ventotene, 1941). Anche noi di Primo piano Scala c abbiamo deciso di osare!    

Mariella Palazzolo

Emma Bonino è attualmente Vicepresidente del Senato della Repubblica. Nel Governo Prodi II è stata Ministro per il Commercio Internazionale e per le Politiche Europee. Nel gennaio 2004, con l’Ong “Non c’è Pace Senza Giustizia” e in collaborazione con il governo dello Yemen, organizza la prima conferenza intergovernativa regionale che sia mai stata tenuta nel mondo arabo su democrazia, diritti umani e ruolo della Corte Penale Internazionale. L’impegno politico di Emma Bonino è di lunga data. Nel 1976 (il Partito Radicale presentava per la prima volta, nella sua già ventennale storia politica, proprie liste alle elezioni legislative italiane) veniva eletta deputato, assieme a Marco Pannella, Adele Faccio e Mauro Mellini. Aveva solo 28 anni. La sua presenza nel Parlamento italiano è stata, da allora, pressoché ininterrotta, e contrassegnata da iniziative, non solo a livello parlamentare, che le hanno procurato un grande credito politico ed umano. Così nel marzo 1999, nel corso di un‘Assemblea dei radicali per la rivoluzione liberale e gli Stati Uniti d’Europa poteva accettare una sorprendente candidatura alla Presidenza della Repubblica. Alle elezioni europee del giugno di quell’anno era capolista della Lista Bonino, che otteneva l’8,5 % dei voti e sette deputati. Del Partito Radicale era stata eletta segretario politico nel 1993. Dal 1995 al 1999 ricopre la carica di Commissario Europeo responsabile della Politica dei Consumatori, della Politica della Pesca e dell’Ufficio Europeo per l’Aiuto Umanitario d’Urgenza. Nel febbraio 1997, Emma Bonino è nominata Personalità Europea 1996, un anno dopo Helmut Kohl, da una giuria presieduta da Jacques Delors, in riconoscimento del suo coraggio umanitario e della sua fede nel futuro dell’integrazione europea. E poi... lo spazio a nostra disposizione è davvero troppo poco per raccontare l‘impegno di Emma Bonino, quindi vi consigliamo di leggere la sua affascinante biografia qui. Solo una nota personale. La sua domenica ideale è quella in pigiama a bighellonare per casa!