
Donne e Uomini. Antropologia di un conflitto
“Le donne sembrano più inclini a costruire ed a contare solo su poche relazioni molto forti. Gli uomini sono più bravi a sviluppare una rete anche su conoscenze superficiali, ed a mantenere un alto profilo personale attraverso questi contatti.”
Telos: Il suo ultimo lavoro scientifico affronta l’argomento della differenza di remunerazione per i manager a seconda che siano uomini o donne. Con un aspetto in più: un’analisi specifica del ruolo della rete sociale. Ce ne dà un assaggio?
Paul Seabright: Con Marie Lalanne, abbiamo assemblato un data base che ci ha permesso di vedere, attraverso l’analisi dei curricula dei manager, quanti altri manager e membri di consigli di amministrazione avessero incrociato nella loro carriera. Non possiamo avere la certezza che abbiano o meno sviluppato dei forti legami con queste persone, ma possiamo registrare il fatto che hanno avuto la possibilità di fare rete con loro. Abbiamo riscontrato che le opportunità di fare rete influiscono molto positivamente ed in maniera evidente nelle carriere dei singoli: chi ha un’ampia rete di relazioni riesce ad avere un salario più elevato. O perlomeno, questo vale per gli uomini, ma non per le donne. Gli uomini che hanno più del 50% di persone importanti nel loro network potenziale hanno salari più alti di circa il 5% e tra il 10% e 20% di remunerazione non salariare più elevata, a seconda di come venga misurata. Le donne con i network più allargati non hanno remunerazioni più alte di quelle con network più ridotti. Sembra che l’opportunità di sviluppare network porti benefici agli uomini non riscontrabili nelle carriere delle loro colleghe. E se si aggiustano/correggono i dati per tenere conto di questa asimmetria la differenza di remunerazione tra donne e uomini si annulla, mentre i dati grezzi mostrano che le donne sono pagate molto meno. Lo stesso effetto non lo abbiamo riscontrato nel livello quadro: tra uomini e donne quadro non c’è alcuna differenza né nel livello salariale né nell’influenza che su questo esercita la capacità di fare rete. Questo fatto ci suggerisce che le aziende cercano di assumere soprattutto donne per i livelli da quadro in giù, mentre per le posizioni da manager ci sono molte donne di talento che volano al di sotto del raggio dei radar delle risorse umane. Se ciò accada per lo stile di volo delle donne o per il modo nel quale i radar sono calibrati, i nostri dati non riescono a dircelo. Ma i risultati sono molto interessanti.
Lo scorso dicembre, The Economist ha lanciato un dibattito sull’affermazione il posto delle donne è al lavoro. Dopo una settimana la maggior parte dei votanti ha risposto di no. Si tratta di un segnale preoccupante?
Non mi preoccuperei di questo risultato: nei dibattiti le persone prendono posizioni estreme per il gusto della polemica. Naturalmente il posto delle donne non è solo a lavoro (e non lo è nemmeno per gli uomini!). Ognuno di noi ha bisogno di una situazione equilibrata tra vita e lavoro. Molti tra coloro che hanno commentato negativamente potrebbero averlo fatto perché rifiutano l’idea che alle donne debba essere imposta la stessa gerarchia di priorità sbilanciata verso il lavoro che tanti uomini adottano. Non credo che ci siano prove del fatto che le grandi conquiste fatte dalle donne nel lavoro corrano il rischio di essere capovolte. Il vero problema è se queste conquiste si siano bloccate perché ci sono ancora degli ostacoli alla crescita professionale delle donne, o se molte donne, seppur dai molti talenti, abbiamo deciso che l’organizzazione del lavoro al maschile (quella prevalente) non fa per loro. La risposta potrebbe contenere elementi di ambedue le tesi.
Un messaggio molto potente che arriva da tutto il suo lavoro di scrittura e di ricerca è quello del ruolo fondamentale della cooperazione e della fiducia sociale nelle nostre vite. L’atmosfera di fiducia creata da un sorriso convincente può esistere oggi?
Certo che può! Ma il mondo contemporaneo pone delle strane sfide ai nostri cervelli ancora dell’età della pietra: le persone usano la tecnologia delle immagini per creare l’illusione che dei completi sconosciuti siano invece nostri amici. Molto banalmente le pubblicità usano modelli sorridenti per convincerci a comprare dei prodotti e i politici ci sorridono come se fossimo loro vecchi conoscenti. Dobbiamo imparare a decidere di chi possiamo fidarci, tenendo presente che gli altri stanno manipolando per i loro scopi personali i modi che ci erano familiari nel passato. Aggiungo solo una cosa, in un mio studio recente, basato su un gioco di ruoli di fiducia, è venuto fuori che per le persone meno oneste è più difficile sorridere in modo convincente.
The War of the Sexes: How Conflict and Cooperation Have Shaped Men and Women from Prehistory to the Present è il titolo del suo prossimo libro. Ci può dare un’anticipazione?
Il mio ultimo libro racconta di come la selezione naturale abbia lasciato il segno sul modo nel quale noi pensiamo alle relazioni tra i sessi, sia sessuali che professionali. Non vi preoccupate, non si tratta di uno di quei libri del tipo Gli uomini vengono da Marte. Che la selezione naturale non abbia concesso agli uomini e alle donne un’identica psicologia è un fatto incontrovertibile. Ma sarebbe stato molto sorprendente se lo avesse fatto, ed è notevole quanto la nostra psicologia evoluta ci abbia, di fatto, preparato ad essere adattabili, a rispondere ai molti modi nei quali il nostro ambiente si differenzia da quello del tempo della pietra. Il messaggio principale del libro è che il conflitto tra uomini e donne non è qualcosa di terrificante o misterioso, è qualcosa di normale e poco sorprendente: quindi non è una minaccia come molti pensano che sia. Ci siamo evoluti per negoziare e cooperare, e riusciamo a farlo anche nei momenti di conflitto. Grazie al talento per la negoziazione e la cooperazione non c’è ragione per la quale oggi i vecchi modelli di disuguaglianza -a casa, sul posto di lavoro- debbano continuare ad esistere. E suggerisco modi con i quali possiamo trovare un punto di accordo nella condivisione dello spazio domestico e professionale che possa andare bene tanto agli uomini quanto alle donne.
Editoriale
Nel mondo rarefatto dei consigli di amministrazione delle grandi aziende una buona rete di relazione conta. Ad un’assunzione spesso contribuisce il passaparola: è più facile che una candidatura sia presa in considerazione se si hanno i contatti giusti. E l’ultima ricerca del prof. Paul Seabright, condotta insieme a Marie Lalanne, suggerisce che gli uomini sanno far fruttare meglio la propria rete di relazione di quanto facciano le donne. È un fatto che tra i manager di alto livello le donne guadagnano almeno il 17% in meno degli uomini. Ci sono molte spiegazioni plausibili per questa disparità, dall’interruzione della carriera della donna alla vecchia discriminazione, un po’ démodé. Ma Seabright sostiene che questa differenza di remunerazione potrebbe essere spiegata dall’effetto network: gli uomini riescono a sfruttare le loro relazioni per raggiungere posizioni più elevate o un posto nei consigli di amministrazione, le donne no. Eppure un segnale positivo sembra arrivare proprio in questi giorni dai vertici della grande finanza. In un breve arco di tempo tre donne sono state proiettate ai massimi livelli in Allianz, Unicredit e Ubs, quasi a dire che per il periodo post crisi la grande finanza comincia ad affidarsi alle donne. Tutte in Germania. Quale sarà il motivo? Diamo per scontate la competenza e la professionalità, e approfondiamo. Eccone un altro. Dopo una battaglia per cercare di definire quote rosa per legge, il governo Merkel si è accordato con i maggiori gruppi per aumentare nel prossimo triennio la rappresentanza femminile nei board e organi di controllo. Secondo il nostro illustre intervistato, tre rappresentanti femminili nei consigli di amministrazione dovrebbero essere il minimo, non soltanto per il codice aziendale moderno, ma perché rimescolano le carte nelle strutture polverose, pongono domande penetranti, discutono sui dettagli in modo più accurato, con il risultato che più impegno e più senso critico portano ad una maggiore trasparenza. E poi? Si sentono meno legate ai network economici maschili. L’altra faccia della medaglia?
Mariella Palazzolo

Paul Seabright insegna Economia all’Università di Tolosa ed è Research Fellow al Centre for Economic Policy Research di Londra. Fa parte del Consiglio Scientifico del think-tank BRUEGEL a Bruxelles, ed è membro dell’Economic Advisory Group on Competition Policy della DG Concorrenza della Commissione Europea. È stato managing editor della rivista Economic Policy, e ha insegnato all’Università di Cambridge. Si occupa di teoria microeconomica, teoria dell’organizzazione, politica industriale e della concorrenza, economia dei network e della società digitale, storia dell’economia comportamentale – in particolare dell’integrazione di biologia e antropologia nell’evoluzione delle Istituzioni economiche. È autore di In compagnia degli estranei. Una storia naturale della vita economica, (2004), seguito, nel 2010 dalla seconda edizione dove ha preso in esame le cause della crisi finanziaria. Il suo libro The War of the Sexes: How Conflict and Cooperation Have Shaped Men and Women from Prehistory to the Present, Princeton University Press, uscirà nell’aprile 2012. Vive a Tolosa dal 2000. Per distrarsi da tutto il viaggiare e leggere che deve fare per lavoro, viaggia e legge per divertimento. I suoi 3 figli sono al 25% Italiani e allo 0% economisti. Se volete conoscerlo meglio basta cliccare qui.